INTERDIZIONE PERPETUA
|
La negazione dell’accesso, l’impossibilità di partecipare. L’interdizione perpetua è un paradosso. Impossibilità di partecipare alla vita della società. Vite alla periferia di Napoli, come ci saranno in tutte le periferie del mondo, a cui sembra negato l’accesso ai diritti più elementari. Il diritto ad un lavoro, ad un reddito, alla sopravvivenza. Forse come in altre periferie del mondo, a Napoli si cerca di superare le mancanze dello stato con fantasia, reinventandosi un lavoro. Per esempio la raccolta del ferro vecchio. Un lunga notte di ricerca tra i cassonetti dei rifiuti può fruttare anche qualche decina di euro. Ed ecco un altro paradosso. I nostri protagonisti multati, arrestati o privati del mezzo di trasporto per aver commesso quello che si è deciso essere un reato. Una città che non riesce a smaltire i propri rifiuti e punisce chi, senza reddito, ricicla il ferro vecchio con mezzi propri. Paradossi su paradossi. E intanto la condizione di chi è ai margini della società diventa sempre più insostenibile. “Sono partito con la valigia di pelle e sono tornato con quella di cartone”, dice ad un certo punto Peppe. Peppe era un “saponaro” o “piattaro”, ora emigrato, anche lui faceva il rigattiere quando ancora non si rischiava la galera; tra il percorso di chi tenta di riciclare di notte il ferro vecchio e chi insegue i pacchi di aiuti che la Caritas può destinare a poche famiglie, incontriamo le vite e le difficoltà di chi è condannato a perpetua interdizione.
Racconto un’altra volta la mia città, racconto un’altra volta il mio quartiere, ancora una volta la mia gente. La loro esperienza è la mia esperienza. Le difficoltà quotidiane, che sembrano rivisitazioni di una letteratura di fine Ottocento, sono invece tristemente attuali. Non bisogna aver paura di correre il rischio di stancare con storie che raccontano un’umanità costantemente ai margini, perché sono troppo attuali, e sono spine nel fianco che la società civile non riesce a togliersi. Lo stesso titolo è mutuato dalla mia storia, dopo oltre dieci anni in cui sono riuscito a trasformare la mia vita, in cui con la mia società “Figli del Bronx” stiamo riuscendo a produrre cultura dal basso e ad essere presenti ai maggiori appuntamenti culturali nazionali ed internazionali; ancora il marchio dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici segna la mia vita come un’infamia indelebile ed è anche questa la ragione per cui ancora una volta racconto una storia di esclusione dalla cosiddetta società civile.
Gaetano Di Vaio
|