SILENT SOULS
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Alla morte dell’adorata moglie Tanya, Miron chiede al suo migliore amico, Aist, di aiutarlo a dirle addio secondo i rituali della cultura Merja, un’antica tribù ugro-finnica del lago Nero, pittoresca regione della Russia centro-occidentale. Nonostante i Merja siano un popolo assimilato dai russi nel XVII secolo, i loro miti e le loro tradizioni vivono nella vita moderna dei loro discendenti. I due uomini intraprendono così un viaggio di migliaia di chilometri attraverso terre sconfinate. Assieme a loro, due piccoli uccelli in gabbia. Lungo la strada, come prescritto dalle usanze Merja, Miron condivide i ricordi più intimi della sua vita coniugale. Ma una volta arrivati sulle rive del lago sacro, dove essi prenderanno per sempre congedo dal corpo della donna che verrà cremato, Miron capisce che non era il solo ad amare Tanya...
Forse è la nostalgia, o forse la necessità, che ci spingono a ricreare un insieme di miti e leggende nei quali credere. Forse quello di cui abbiamo bisogno è l’atto dello sforzo creativo, il fatto di sapere di essere ancora in grado di inventare storie. O forse l’intima urgenza di ricreare un immaginario collettivo in grado di rassicurarci del fatto che abbiamo ancora delle appartenenze culturali dalle quali discendiamo. In ogni caso, Aleksei Fedorchenko e la sua troupe mettono in scena un immaginario mitologico creato ex novo a posteriori nel quale reinserire i loro personaggi, la loro cultura e le loro origini.
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