NOTE DI REGIA
Il film racconta la storia di tre persone che non riescono a partecipare, come vorrebbero e come avrebbero diritto, alla società. Tre persone che per motivi diversi vivono una condizione di svantaggio e sono costrette a trovare dentro loro stesse la forza per conquistare spazi, diritti, identità. Tre persone che, accidentalmente e solo per un breve momento, si trovano a formare una sorta di anomala e involontaria “famiglia”, intesa non nei termini tradizionali, piuttosto come micro-gruppo umano capace di provare e assicurare - reciprocamente - protezione, affetto e riparo.
“Riparo” significa un tetto, un lavoro, una famiglia, ma questo termine, per certi versi rassicurante per altri inquietante, rappresenta soprattutto un’aspirazione alla dignità umana.
I tre personaggi, in un quotidiano che apparentemente sembra banale routine, soffrono per la mancanza di qualcosa che è il rispetto di se stessi, e questo è ciò che cerca sopratutto Anis, ma anche Mara e in buona misura Anna.
L’aspirazione, mai dichiarata apertamente, di Anna a creare una famiglia è desiderio di una completa accettazione sociale. L’indipendenza orgogliosa di Mara dalla protezione di Anna è ricerca, a volte disperata e irrazionale, di un rispetto per se stessa che anche suo padre le ha negato. L’attaccamento di Anis al lavoro è il tentativo di legarsi a qualcosa che lo protegga dalla miseria del luogo d’origine e dal disprezzo degli altri in quanto adolescente, straniero, immigrato.
Il film racconta la relazione sentimentale fra due donne, messa in rapporto alla società in cui vivono e alle responsabilità che si devono assumere nei confronti di qualcuno ancora più fragile e bisognoso di sostegno, come un giovane straniero giunto in Italia per cercare lavoro e sicurezza.
Anna in particolare avverte un senso di colpa per la propria condizione privilegiata. Si tratta di senso di colpa diffuso e collettivo, ma sentito individualmente da chi come lei è dotato di senso di giustizia. Questo si traduce in atti di compassione incompleti che non possono cambiare davvero le cose e si caratterizzano più per l’aspetto di manipolazione delle vite altrui che per il loro valore d’empatia.
Ho tentato una rappresentazione che fosse rispettosa dell’umanità dei personaggi e dell’ambiguità della realtà, quindi non invasiva, rinunciando ad un linguaggio più complesso, pur di mettere a proprio agio lo spettatore e farlo avvicinare il più possibile all’intimità dei protagonisti, per aiutarlo a guardare senza giudicare a priori. Forse è anche per questo che ho scelto di lasciare aperto il futuro di Anna, Mara e Anis, lasciando allo spettatore immaginare quali possano essere gli sviluppi di una situazione che non cerca la morte, ma la trasformazione.
Marco S. Puccioni
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